Cresci Italia, cresci Ischia!

Che si tratti di un anno da dimenticare lo stanno dicendo già in tanti, forse troppi; così come il fatto che il prossimo debba essere migliore del suo predecessore (anche perché, in tutta onestà, serve veramente poco per riuscirci).

Al di là del ritorno alla normalità, personalmente, il regalo che vorrei dal nuovo anno è una forte iniezione di coscienza civile, in tutta Italia e ad Ischia in particolare. Mi basterebbe un po’ meno egoismo diffuso e più rispetto e considerazione verso la tutela di ciò che appartiene a tutti.

Una comunità matura, di questi tempi, appare un’utopia. Ma riflettendoci, è ormai una necessità indifferibile.

Buon 2021 e buona vita a tutti.

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Allora quel giudice a Perugia c’è!

E oggi, finalmente, due importanti quotidiani italiani, probabilmente rabboniti in occasione della prima festa di Natale o semplicemente consci che la vicenda comincia a ingrossarsi, hanno riportato alla perfezione le ultime conclusioni della Procura Generale della Repubblica di Perugia in merito al caso Suarez e alle ingerenze della Juventus -dirette o indirette- sulla vicenda.

Si legge con chiarezza: “Sussistono fondati dubbi che i rappresentanti della Juve abbiano potuto avere contezza, nel lasso temporale dall’8 al 14 settembre, di questo procedimento e delle attività tecniche in corso“. E ancora, sul Corriere della Sera: “…per gli inquirenti si tratta di una ‘falsa rappresentazione’ basata su un ‘presupposto inesistente’ – poiché dal Viminale erano arrivate indicazioni opposte: Suarez poteva diventare italiano in tempo utile per le esigenze juventine”. I p.m. anche per questo parlerebbero di “inquinamento probatorio” da parte di Chiappero (l’avvocato bianconero che avrebbe mentito in fase d’indagine sostenendo di aver contattato il Viminale da recapiti trovati su internet -ndr) e il d.s. Paratici (autore del contatto con la ministra De Micheli, sua amica d’infanzia -ndr): con le loro false dichiarazioni avrebbero reso difficoltosa l’attività di ricostruzione dei fatti.

Da indiscrezioni assunte, invece, sembrerebbe essere in corso in seno alla proprietà bianconera una sorta di redde rationem familiare, che tenderebbe a lasciar fare il suo corso alla giustizia, affinché determinate responsabilità sportive e gestionali su Juve e Ferrari vengano fuori quanto prima, insieme ai loro responsabili.

Sempre un cordiale saluto ad Andrea Agnelli e al suo proverbiale “rispetto delle regole” tutto juventino!

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Quando la misura è colma

La vittoria (stavolta inequivocabile) di Giacomo Pascale nel ballottaggio di Lacco Ameno ha sancito un dato di fatto: per i Lacchesi, la misura De Siano era colma!

Se vogliamo analizzare il percorso di questa campagna elettorale a due settimane dalla fatidica parità è decisamente inutile avventurarci in questo o quel volo pindarico: lo stare pochi voti sopra, poi sotto e poi pari, ha fornito a tutti una chiave di lettura inequivocabile: Domenico non era più imbattibile. E poiché il senso di questa competizione non era tanto Domenico contro Giacomo, bensì il Paese contro o a favore di Domenico, ecco scatenarsi ulteriori quattordici giorni in cui ha preso corpo tutta la voglia di rivalsa dell’altra parte, a cui si è aggiunta anche quella fetta di “traditori” (ben noti a De Siano, statene certi) i quali, una volta smascherati, hanno fatto proprio quel sentore popolare che il vento, stavolta, soffiava in modo diverso dal solito, rendendosi disponibili finanche a rischiare sul piano strettamente personale pur di giocare la propria fiche sul carro del potenziale vincitore e sospingerlo più che al turno precedente.

La verità, però, è che Domenico De Siano, che resta un fine politico anche se forse ancorato a schemi e convinzioni un tantino fuori dal tempo, ben sapeva di aver già perso anche se ieri avesse vinto. Lo sapeva sin da quella storica parità, quando si rese conto che le cose non funzionavano più come un tempo e che, al di là di una strategia di comunicazione più che discutibile (quell’inquietante “Andate a lavorare!” dal tono tutt’altro che rasserenante nel video pubblicato il giorno dopo il ballottaggio ne è l’emblema), la sua partita per Lacco era ormai diventata una guerra del povero contro il ricco, del buono contro il cattivo, del debole contro il potente, di Davide contro Golia.

Oggi, più che arrabbiarsi o vendicarsi, Domenico ha da riflettere. E non poco. Lo deve ai suoi, lo deve alla Di Scala, lo deve al Partito. Ma lo deve innanzitutto a sé stesso.

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