Quando la misura è colma

La vittoria (stavolta inequivocabile) di Giacomo Pascale nel ballottaggio di Lacco Ameno ha sancito un dato di fatto: per i Lacchesi, la misura De Siano era colma!

Se vogliamo analizzare il percorso di questa campagna elettorale a due settimane dalla fatidica parità è decisamente inutile avventurarci in questo o quel volo pindarico: lo stare pochi voti sopra, poi sotto e poi pari, ha fornito a tutti una chiave di lettura inequivocabile: Domenico non era più imbattibile. E poiché il senso di questa competizione non era tanto Domenico contro Giacomo, bensì il Paese contro o a favore di Domenico, ecco scatenarsi ulteriori quattordici giorni in cui ha preso corpo tutta la voglia di rivalsa dell’altra parte, a cui si è aggiunta anche quella fetta di “traditori” (ben noti a De Siano, statene certi) i quali, una volta smascherati, hanno fatto proprio quel sentore popolare che il vento, stavolta, soffiava in modo diverso dal solito, rendendosi disponibili finanche a rischiare sul piano strettamente personale pur di giocare la propria fiche sul carro del potenziale vincitore e sospingerlo più che al turno precedente.

La verità, però, è che Domenico De Siano, che resta un fine politico anche se forse ancorato a schemi e convinzioni un tantino fuori dal tempo, ben sapeva di aver già perso anche se ieri avesse vinto. Lo sapeva sin da quella storica parità, quando si rese conto che le cose non funzionavano più come un tempo e che, al di là di una strategia di comunicazione più che discutibile (quell’inquietante “Andate a lavorare!” dal tono tutt’altro che rasserenante nel video pubblicato il giorno dopo il ballottaggio ne è l’emblema), la sua partita per Lacco era ormai diventata una guerra del povero contro il ricco, del buono contro il cattivo, del debole contro il potente, di Davide contro Golia.

Oggi, più che arrabbiarsi o vendicarsi, Domenico ha da riflettere. E non poco. Lo deve ai suoi, lo deve alla Di Scala, lo deve al Partito. Ma lo deve innanzitutto a sé stesso.

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Ciao, Peppe “azzurro”!

Amico di tutti, critico quanto basta per dimostrare ad ogni occasione utile la passione in quel partito in cui credevi sul serio, come tutti noi del ’94: sei andato via troppo presto, anche se ormai provato da uno stato di salute che da anni aveva tarpato le ali alla Tua gioia di lavorare e vivere, ma non certo alla Tua fede. 

Indimenticabili le Tue zeppole di San Giuseppe al negozio sul “Macello”, ogni 19 marzo. Un po’ azzurro il sangue che Ti scorreva nelle vene, come il mare che fa da sfondo a questa Tua foto e verso il cui orizzonte mi piace immaginare Tu stia migrando.

Ciao, amico Peppe!

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Discutibile chiusura ad orologeria

La chiusura delle discoteche di tutta Italia a partire da oggi rappresenta un provvedimento ridicolo e non certo per un pur legittimo accostamento salviniano al lasco volontariamente incontrollato (nonostante i recenti proclami del premier Conte, va ricordato) nella gestione degli sbarchi di immigrati da ogni dove. 

E’ inaccettabile, pur avendo constatato che il tempo vacanziero abbia favorito assembramenti non solo in discoteca, con relativo salto del distanziamento sociale, dell’uso della mascherina e di controlli pressoché impossibili da effettuare a tappeto, che tale provvedimento giunga ad orologeria, solo dopo aver consentito a tutti di celebrare il Ferragosto e incassarne i frutti per poi rimandare sine die la possibilità di svolgere regolarmente le proprie attività.

Così come è inaccettabile che nei trasporti pubblici (treni, aerei, traghetti, aliscafi, autobus) non ci sia alcuna distanza da rispettare, mentre in Chiesa sì.

Personalmente ritengo che si stia toccando un’inaccettabile quanto meritatissima soglia di assurdità per un popolo che, ben peggio della classe politica che esprime, proprio non riesce a crescere. Perché se da una parte la gente ha perso l’occasione di gestire correttamente la propria ritrovata libertà in un momento ancora troppo particolare, chi ci governa continua a non brillare per tempismo e lucidità nelle decisioni.

(foto: Leccesette)

 

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