Il gemellaggio, il “minuto di riflessione” e il turn over.
Mercoledì sera, insieme a mio figlio Simone e ad alcuni abituali compagni d’avventure sportive (Seby in primis), siamo stati allo Stadio Ferraris ad assistere a Genoa-Napoli, match in programma per il turno infrasettimanale di campionato. Al di là del risultato favorevole per i nostri Azzurri, ho assistito per la prima volta alla celebrazione del longevo gemellaggio (ben trentacinquenne) tra le due tifoserie, che ieri sera si è concretizzato non solo con ripetuti annunci prima, durante e dopo la partita dalla voce dello speaker ufficiale del Genoa, ma anche e principalmente con uno spettacolo di sbandieratori che, con doppio vessillo rossoblu e azzurro, si sono esibiti a centrocampo prima sulle note di “Napul è” di Pino Daniele e, successivamente, su quelle de “Il pescatore” di Fabrizio De Andrè, accompagnati dalle splendide coreografie a cori incrociati delle due tifoserie e dai ledwall ipercolorati in tutto lo stadio: il tutto, cornice ideale di un’atmosfera di grande fratellanza ed esaltazione di quella serenità e lealtà che dovrebbe essere il condimento ideale dello sport.
Non sono stato ugualmente contento della lettura del brano di Anna Frank che ha accompagnato il “minuto di riflessione” (così hanno ribattezzato per l’occasione quello di ieri sera, ancorché identico al classico “raccoglimento” dedicato ai defunti), a Genova come in tutti i campi di serie A. Ho letto in questa scelta la necessità da parte della FIGC di dimostrare a tutti i costi di esistere, una forma di presenzialismo esasperato che avvalora una sensazione che mi torna sgradevole.
Premesso che quanto accaduto a Roma ad opera degli “Irriducibili” laziali con gli adesivi riportanti l’immagine della povera Anna Frank in maglia giallorossa sia indiscutibilmente deplorevole, provo un senso di insolito disgusto ogni qualvolta le istituzioni di casa nostra si sentono in dovere di dare un immediato quanto clamoroso riscontro all’indignazione delle comunità ebraiche italiane, in particolare quella romana, rispetto ad episodi di varia gravità che l’abbiano –il più delle volte giustamente- portata ad una pronta stigmatizzazione pubblica dell’accaduto.
Ho l’impressione che alla –talvolta eccessiva- diffusa deferenza nei confronti degli ebrei d’Italia, si contrapponga spesso da parte loro un atteggiamento che lascia trapelare una fastidiosa supponenza, quasi come se la storia gli conferisse una sorta di superiorità acquisita rispetto al resto degli Italiani, avvalorata dagli atteggiamenti sempre fin troppo proni al limite del servilismo di chi ricopre ruoli di rilievo nella nostra società. Una sensazione, questa, che a mio giudizio trova riscontro sia nell’assenza di alcun rappresentante della comunità di Roma alla lodevole visita alla Sinagoga del Presidente della Lazio Claudio Lotito sia nel ritrovamento nel Tevere della corona di fiori da lui deposta nel corso della visita, gesto altrettanto deplorevole attribuito –per quanto è dato sapere- ad alcuni ragazzi appartenenti proprio a tale comunità.
E allora, se –come ha dichiarato il rabbino capo di Roma- “non si risolve tutto con un omaggio floreale” e se è verissimo che bisognerebbe inasprire ulteriormente le conseguenze per chi si rende protagonista di situazioni così sgradevoli, non fosse altro che per far passare a tutti la voglia di certe bravate, è altrettanto vero che non si può e non si deve strumentalizzare a mo’ di automatismo ogni tentativo –goliardico o meno che possa essere definito- di tirare in ballo a sproposito il genocidio ebreo. Ci sono episodi senz’altro maggiormente gravi degli adesivi sulle poltroncine dell’Olimpico (primo fra tutti l’omicidio del giovane tifoso napoletano Ciro Esposito prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, il cui colpevole ha anche ottenuto una quanto meno discutibile riduzione di pena) che non hanno ottenuto uguale evidenza e, soprattutto, sufficiente giustizia ed altrettanta attenzione da parte delle istituzioni dello Stato e dello sport. Eppure, quando si toccano certi ambienti, non c’è priorità che tenga: tutti pronti a spadellarsi in dichiarazioni a volte stomachevoli nella loro stessa inconsistenza e, ovviamente, senza quel minimo di amor proprio che imporrebbe uguale attenzione, caso per caso. Se è vero che il Paese è uno e che la Legge è uguale per tutti, s’intende.
E giusto per stemperare i toni, lasciatemi parlare un po’ della partita di mercoledì, ma soprattutto della situazione del “mio” Napoli. Il sogno continua, ci mancherebbe; il bel gioco resta, in barba a chi tanto avrebbe voluto una violenta interruzione del ciclo positivo degli Azzurri e della loro leadership in classifica. Bisogna però restare con gli occhi ben aperti e con la giusta dose di obiettività: al di là del risultato, ieri una parte importante della squadra era “sulle gambe”. Occorre far rifiatare subito Callejon (l’ombra di sé stesso), Koulibaly (al 50% della sua forma migliore), Hysaj (anche lui non è un robot) e Hamsik (nella speranza che il Capitano torni quanto prima ai suoi livelli abituali). La gara interna col Sassuolo, banco di prova verso il ritorno di Champions contro il Manchester City di mercoledì prossimo, è l’occasione giusta per completare adeguatamente il turn over già posto in essere a Marassi per Albiol, Allan e Jorginho e di certo tutta la squadra, ma soprattutto la lucidità e la fluidità del gioco che in tanti ci invidiano, ne trarrà grande giovamento. #AvantiNapoli
(4WARD – da IL DISPARI del 27 ottobre 2017)