Morire di gioia

Due sub morti in mare alla secca delle Formiche tra Ischia e Vivara

Alessia, Antonio, Lara: tre giovani vite smarrite nel nostro mare. Quel mare che, in modo diverso ma ugualmente forte, avevano nel cuore ma che, senza scrupolo alcuno, ne ha castigato la passione.

L’isola d’Ischia è nuovamente balzata al top delle cronache nazionali, negli ultimi tre giorni: prima il gravissimo incendio tra Montecorvo e i Frassitelli, poi la morte di Alessia tra Cava dell’Isola e Citara e, ieri, quella di Antonio e Lara alle Formiche di Vivara. Ma gli ultimi due eventi sono quelli che oltre a provarci maggiormente sul piano emotivo, scoprono un retroscena in termini d’immagine tanto crudo quanto impercettibile: ad Ischia, come ovunque, si può morire di gioia, la gioia di godersi la vacanza al mare in uno dei posti più belli al mondo, di immergersi in un blu generosissimo sotto ogni aspetto e degno dell’attenzione di chiunque, dal semplice snorkeller al diver professionista, che solo chi lo vive con la giusta intensità può conoscere e amare profondamente; un’immensità dal raro fascino mediterraneo pronta a svelarsi in tutta la sua ricchezza e la sua unicità, pretendendo però in cambio il massimo rispetto.

Il mare non perdona. I suoi segreti sono talmente tanti da costringere anche i più esperti frequentatori (naviganti, diportisti, operatori a vario titolo) a comprendere che, fino all’ultimo giorno in cui ci si ha a che fare, non si smetterà mai di imparare da lui. E la prudenza non è mai troppa, perché se le insidie della strada –nel senso più ampio del termine- sono comunque mitigate da condizioni d’intervento senza dubbio più agevoli ed immediate, quelle via mare hanno tempi e modalità d’esecuzione ridotti e problematici.

Oggi la mente degli Ischitani ripercorre una serie di episodi analoghi che hanno visto tanti concittadini perire in mare per una fatalità o per le avverse condizioni meteo: mi vengono in mente, tra i tanti, i fratelli Curci (sfortunati pescatori), il giovanissimo Cristiano Mare Ielasi (uno che col mare aveva la familiarità di chi c’era nato, nel vero senso della parola, il cui nome di battesimo fu più che mai un presagio), Paolo Mazzella (che pagò con la vita la sua passione da sub) e chissà quanti altri ne sto dimenticando. Ma per Alessia, Antonio e Lara il caso è diverso: loro erano “ospiti” del nostro mare! E a prescindere dalle eventuali precauzioni che avrebbero potuto evitare il tragico epilogo delle loro giovani esistenze, fa tristezza pensare che la loro ricerca di gioia immergendosi dalle nostre parti sia stata “ricambiata” trattenendone la vita.

Morire di gioia: un macabro slogan che sa di epitaffio, ma che dipinge alla perfezione il quadro pregno di tristezza e rimpianti che da giorni e a più riprese è esposto nella collezione privata di qualsiasi ischitano di buona volontà. Un ritratto crudo, che porta ciascuno di noi a riflettere sul dolore della famiglia di Alessia, che non vedrà tornare viva la propria cara dalla sua prima vacanza da maggiorenne e delle famiglie di Antonio e Lara, distrutte dall’infausto destino che le priverà per sempre del loro affetto.

Questo genere di considerazioni, credetemi, non dà spazio ad alcun –pur legittimo- ragionamento legato ad eventuali imprudenze, inesperienze o provvedimenti preventivi che avrebbero potuto evitare le due tragedie in questione. E’ il momento del silenzio, del dolore, del rispetto. Anche e maggiormente davanti a chi, purtroppo, è morto di gioia. A casa nostra.

(da IL DISPARI del 14 agosto 2017)

 

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